Ci sono cose che noi italiani non riusciremo mai a capire, delle immagini che anche con una dettagliata didascalia non riuscirebbero a sedare la nostra incredulità.
Esempi:
- un posto di blocco, una dogana (fra Repubblica Dominicana e Haiti), nel mezzo di un deserto roccioso sconfinato;
- pago 200 pesos, me ne chiedono altri 40, ma poi me ne danno 70 di resto;
- la continua e instancabile dilatazione del tempo e la costante e invadente presente della natura selvaggia durante tutto ciò.
Sarà che non mi stupisce più vedere quattro ragazzi su una motocicletta nel mezzo di una foresta, o delle donna fare il bucato sulle sponde di un lago contaminato dagli scarichi di una fogna a cielo aperto e miliardi di confezioni di polistirolo.
Sarà che forse sono cambiato.
Questi viaggi mi hanno cambiato.
La verità è che non cerco più spiegazioni per soddisfare la mia curiosità; piuttosto mi accontento di nutrirla di immagini. Emozionandomi semplicemente guardando il mondo coi miei occhi.
Ma la mia vista è inevitabilmente appannata dalle sovrastrutture che mi porto appresso, viziata dalle abitudini con cui sono cresciuto. Fatico ad ammettere che gran parte delle mie piccole azioni quotidiane provengono da una atavica routine. Tutto viene filtrato attraverso il mio cervello, unico punto di vista che ho, che mi da il suo parere di cui spesso non posso fare altro che fidarmi.
Del resto, anche la cooperazione internazionale e il meccanismo degli aiuti umanitari si basano su questa logica.
Troppo spesso pensiamo che la nostra civiltà occidentale possa avere la cultura e l’avanzamento tecnologico che ci fanno sentire migliori di altri popoli, illudendoci di conoscere perfettamente le medicine necessarie per guarire le ferite altrui.
È da un po’ che ho iniziato a pensare, autoaccusandomi, che non sia giusto cosi.
E che non basta la buona volontà per aiutare gli altri (anche nelle piccole cose), se alla base non c’è il riconoscimento della diversità e delle diverse esigenze altrui.
Ad Haiti non interessa a nessuno di rincorrere lo sviluppo, o di passare le giornate intere a lavorare per poter sperare di guadagnare e costruirsi un avvenire più agiato. Se ne fregano, se ne sono sempre fregati.
Basta vivere alla giornata
Un viaggio di 350 km tra Santo Domingo e Port-au-Prince può durare anche 25 ore, se l’autista si ferma a metà strada per farsi un bagno nel fiume con i suoi amici. Poi se la dogana alle 18 chiude, e toccherà passare la notte in un desolato parcheggio di frontiera, tra prostitute e ladroni, non è un problema. Chi vivrà vedrà.
E allora fanculo ambizioni, fanculo cooperazione internazionale e pannelli solari… se non volete il mio aiuto me ne torno a casa, tranquillo. Ma voi credete di stare bene con una scatoletta di tonno e un bicchiere di acqua e latte in polvere al giorno?
E invece è così, ci sono persone che si accontentano di avere un piatto di riso al giorno in buona compagnia per essere felice, e anche se la casa è crollata, con la loro famiglia ancora sotto le macerie. Disperarsi non serve, meglio approfittare delle poche cose buone rimaste nella vita.
Ma a noi, insaziabili predatori di brividi fugaci, cos’è che può renderci felici?
Secondo Schopenhauer, basterebbe rinunciare ad avere desideri ed ambizioni, che una volta raggiunti portano a volere sempre di più, in una perversa spirale infinita. Come dire che per non avere fame bisogna asportarsi lo stomaco. Non è una soluzione che condivido. Chiedo scusa, Arthur.
Non vi aspettate una risposta da me, non vedo neanche io rimedio né soluzione per l’avida insoddisfazione che schiavizza l’Homo Occidentalis, il mio è solo uno dei miei soliti flussi di incoscienza, uno sfogo delirante e isterico. Certo che se questo diavolo di soldato ONU la smettesse di fissarmi mentre accarezza la pistola, magari mi calmerei. Sto soltanto aspettando su un polveroso marciapiede che qualcuno mi venga a prendere!
Ci vuole pazienza.
Tanto sono sicuro che, una volta rientrato in Italia, questa fase semi-ossessiva mi passerà e tornerò ad essere un pacato, belante ingranaggio della macchina. Come sempre. Purtroppo.
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