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Calcio & Fosforo
GIOVANNI GALEONE: IL BATTELLO EBBRO DEL CALCIO, FRA PASOLINI E ALMODOVAR.
Giovanni Galeone, al Nome della Rosa il 17 dicembre 2019.
[Cusano Photo]


Giovanni Galeone e Roberto Di Giovannantonio, anima del Nome della Rosa.
[Cusano Photo]


Giovanni Galeone e Luca Luciani, che ha letto passi del ‘Battello ebbro’ di Arthur Rimbaud in apertura della serata.
[Cusano Photo]


Ricordo di una serata trascorsa insieme al circolo virtuoso Il Nome della Rosa.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 21 Gennaio 2020 - Ore 11:00

«Costa molto essere autentico. E in questa cosa non si deve essere tirchi. Perché uno è più autentico quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stesso».

Scende una lacrima sul profilo dantesco di Giovanni Galeone, che ha appena finito di citare il monologo di Agrado, ricordandosi alla perfezione quel frammento di “Tutto su mia madre” di Pedro Almodóvar: film del 1999 capace di conquistare il triplete vincendo Premio Oscar, Golden Globe e premio per la miglior regia al Festival di Cannes.

Vittoria, lacrime e autenticità.

Giovanni, intellettuale prestato al calcio, si era imbarcato nella citazione del film del cineasta spagnolo – preavvertendomi (“Adesso mi fai piangere”) –, per rispondere a questa mia domanda: “Tuo padre nacque a Pescina, piccolo ma importante paese del nostro Abruzzo che ha dato i natali sia al Cardinale Giulio Raimondo Mazzarino, successore del cardinale Richelieu come Principale Ministro di Luigi XIV in Francia sia di Ignazio Silone, nato Secondo Tranquilli, indimenticabile autore di Fontamara. La tua carriera dice che sei più affine a Silone e ai suoi amati cafoni, bistrattati dai potenti, che al cardinale e al suo essere organico al potere. Se fossi stato un po’ più malleabile, un po’ meno autentico, avresti avuto una carriera diversa, magari allenando una grande e andando oltre le 4 promozioni in Serie A? Insomma: ti saresti meritato, almeno una volta, una squadra per provare a vincere lo Scudetto?”.

La lacrima dice tutto, la citazione del monologo di Agrado aggiunge molto. Quel triplete vinto dal film credo che a Giovanni sarebbe piaciuto collezionarlo in campo, vincendo con il suo calcio autentico e sfrontato.

Che poi quel monologo è il saggio finale portato in accademia da Luca Luciani, doppiatore e attore che ha aperto la serata di martedì 17 dicembre 2019 al circolo virtuoso Il Nome della Rosa, leggendo alcuni passi del “Battello Ebbro” di Arthur Rimbaud e dedicandoli al Gale prima della mia intervista.

Poesia e sincronismi, per una serata con più fosforo che calcio, sebbene le discettazioni del Gale sul pallone non siano mancate.

E anche quando si è parlato del nostro sport nazionale non abbiamo mancato di imparare da Giovanni, che ci ha deliziato partendo dai concetti della zona applicati al calcio e mutuati dalla pallacanestro, analizzando come si difende una porzione di campo, cosa si guarda e come si tiene il corpo.

Le due ore di quel martedì sono state fitte di assist smarcanti per tutti i partecipanti. Passaggi filtranti – fra cultura e sport – con Galeone rifinitore d’eccezione. E noi, impappinati ed emozionati, tutti a sbagliare gol a porta vuota, perché insicuri di fronte a un esempio tanto fulgido di cultura, conoscenza, sensibilità.

Fra le tante occasioni di stupore, il ricordo di Galeone delle partite a pallone con Pier Paolo Pasolini (che come Giovanni aveva quel carisma naturale, grazie al quale teneva l’uditorio in pugno senza mai alzare la voce) e il suo ergersi a difesa dei campioni veri, invitando a pesare le parole quando il giovane di turno segna un paio di gol e i paragoni calcisticamente blasfemi si sprecano.

L’ultimo ricordo da condividere di quell’intervista speciale è il concetto di “allenare in armonia con la città in cui si lavora”. E cioè: un bravo allenatore deve capire il posto in cui è capitato e deve allenare in armonia con esso. Stupendo, anche se per farlo – mi permetto di aggiungere – bisogna che il tecnico abbia gli strumenti culturali per capire il posto in cui si trova. Certo, con Galeone questo non è mai stato un problema.

Qualcuno dirà che è un atteggiamento ruffiano, io preferisco pensare al concetto di armonia del tutto e di elogio della democrazia, prendendosi cura di una maggioranza di persone che esprime una identità culturale. Identità che può fortificarsi pure attraverso il tipo di calcio e di interpreti amati.

Non a caso, in una precedente intervista del 2002, parlando di Pescara, Giovanni mi disse: «Appena sono arrivato mi ha conquistato immediatamente. Un attaccamento da amante. Sono stato attirato dal modo di vivere, dal caos. Dal caos è nata la vita e io ho amato subito Pescara, rifacendomi a questa verità. Probabilmente è per questo che io e Pescara ci siamo sposati, perché non c’era tempo per la monotonia. Amo Pescara, caotica ma viva».

E qui torna, per salutarci, Agrado. Con l’inizio del suo monologo: «Mi chiamano Agrado, perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita gradevole agli altri. Oltre che gradevole, sono molto autentica...».

Grazie, Mister. Mirabile archetipo di autenticità in un mondo con pochi discepoli e troppi epigoni.

Luca Maggitti
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