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Luigi Lamonica
MISTER DECIDERE COMMISSIONER DEL SETTORE ARBITRALE
Luigi Lamonica.

La FIP riaccoglie l’ex arbitro abruzzese, al quale abbiamo fatto una intervista sul suo nuovo, importante e impegnativo lavoro.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 21 Giugno 2022 - Ore 12:15

Ieri, Federazione Italiana Pallacanestro, in un Consiglio Federale Straordinario ha nominato Luigi Lamonica Commissioner del Comitato Italiano Arbitri. Di seguito, in grassetto, la nota della FIP.

LUIGI LAMONICA COMMISSIONER DEL SETTORE ARBITRALE

Alla luce delle dimissioni del presidente CIA Stefano Tedeschi, Luigi Lamonica è stato nominato Commissioner del Comitato Italiano Arbitri. Con questo incarico, a tempo pieno, Lamonica potrà strutturare l’intero mondo arbitrale, dal punto di vista tecnico ed organizzativo.
Il presidente Petrucci e l’intero Consiglio Federale hanno ringraziato sentitamente Stefano Tedeschi per il buon lavoro svolto.
Luigi Lamonica, 57 anni, ha iniziato ad arbitrare nel 1980. Dal 1993 viene promosso nei campionati nazionali dove arbitra fino al 2016 superando le 700 partite in serie A.
Ha arbitrato ai Giochi Olimpici del 2008 e di Londra 2012, la finale dei Campionati del Mondo 2010 e dell'EuroBasket 2013. Ha diretto dieci edizioni delle Final Four di Eurolega


E siccome non c’è due senza tre – in riferimento alle interviste fatte nelle ultime settimane a “Mister Decidere”, attingendo ulteriormente alla sua pazienza abbiamo idealmente chiuso il trittico con questa chiacchierata.

Luigi, torni in Federazione con un ruolo che definirei complicato, oltre che nuovo. Qual è il tuo primo pensiero?
«Che c’è tanto da fare, ma soprattutto farlo in silenzio. Ascoltando persone che hanno più esperienza di me nel gestire un settore difficile, competitivo e strutturato come il Settore Arbitrale. Sicuramente impiegheremo tempo, ma mi impegno fin da ora a lavorare tanto per il bene degli Arbitri».
 
Non hai un carattere facile. Quanta fatica farai, adesso che hai cambiato lavoro, a “smussare gli angoli”?
«Avrò bisogno di validi collaboratori, che mi limiteranno e dovranno farmi smussare gli angoli del mio carattere».
 
Sei stato il migliore degli arbitri. Questo non significa che diventerai in automatico il migliore dei dirigenti arbitrali. Li senti già i “fischi” di quelli ai quali non sei simpatico?
«Non mi sono mai ritenuto il migliore, ma uno di quelli affidabili a cui i designatori, che sono quelli che con le loro decisioni si giocano il posto di lavoro, consideravano tra quelli idonei a dirigere le partite decisive. Di automatico non esiste niente, nel lavoro come nella vita, quindi dovrò meritarmi la fiducia che mi è stata concessa con questo ambìto ruolo e anche in questo settore non vorrò essere il migliore, ma solo trasferire la mia esperienza ai giovani. Quell’esperienza che i miei colleghi e i miei istruttori hanno passato a me e adesso è giusto che io, a mia volta, passi a qualcun altro. L’esperienza è un tesoro che non è di mia proprietà esclusiva, mi è stato insegnato dai miei istruttori che non smetterò mai di ringraziare per i loro insegnamenti (Ninì Ardito, Aldo Albanesi, Nar Zanolin, Miguel Betancor, Sandro Teofili e Richard Stokes). L’esperienza è del gioco, è della pallacanestro e va tramandata come si fa tra padri e figli. I “fischi”, di cui parli tu, li sento da tanti anni, ma come vedi non mi hanno cambiato per niente».
 
Pensi che le critiche nei confronti degli arbitri di Serie A, pronunciate prima della Finale Scudetto, sia da Ettore Messina sia da Sergio Scariolo, abbiano “tirato per la giacca” il presidente FIP, Gianni Petrucci, spingendolo a ingaggiare un uomo “super partes” come te, che tornava da una lunga esperienza in Eurolega, lontano dal dibattito nazionale?
«Il Presidente Petrucci non si fa tirare dalla giacchetta da nessuno. Nei nostri colloqui, che devo dire sono avvenuti regolarmente quasi a ogni fine stagione e sono stati sempre molto cordiali, mi ha sempre mostrato grande stima e dimostrato di essere perfettamente a conoscenza dei problemi della categoria arbitrale che, purtroppo, negli ultimi 2 anni di sono amplificati a causa della pandemia. Poi, a dire il vero, quando coach Messina ha avuto quello sfogo dopo una partita in sala stampa, avevo già stretto la mano al Presidente e per me valeva più di un contratto. È lui che ha deciso in quale veste dovevo essere inserito nei ranghi della Federazione, quindi ancora una volta il Presidente Petrucci... è stato più veloce e decisionista di tutti».
 
Il Presidente Petrucci è lo stesso che ti pensionò a 50 anni, facendo valere una norma che però solo pochi mesi dopo venne cambiata, innalzando il tetto a 55 anni e consentendo a diversi tuoi colleghi altri anni in campo in Italia, mentre tu hai continuato in Eurolega. All’epoca portasti rancore? E questa nomina, oggi, la vedi come una rivincita?
«Nessun rancore e nessuna rivincita. A quel tempo la regola era chiara, a 50 era fissato il limite di età. Era una regola giusta? Penso di no e credo di averlo dimostrato sul campo di Belgrado un mese fa, a 56 anni suonati. Deve essere il campo a giudicare se un arbitro è ancora utile al movimento, non la propria carta d’identità. Non è forse il campo a giudicare quando un giocatore o anche un allenatore devono ritirarsi? Sì. E allora occorre che lo sia anche per gli arbitri. Tornando alla mia vicenda personale: gli arbitri fanno rispettare le regole che altri impongono, perché io non avrei dovuto rispettare quella regola? E l’ho fatto senza fare polemiche, sono andato via senza fare polemiche. Poi ho capito che avrei invece dovuto ringraziare la Federazione, perché con quella regola che altre Nazioni (Spagna, Germania, Lituania) non avevano, mi hanno allungato la carriera in Eurolega perché, siamo onesti, a 50 e passa anni non si possono arbitrare 2 o 3 partite a settimana, se lo si vuole fare come intendo io e cioè sempre al massimo livello e impegno, avendo dai 4 ai 6 voli aerei e tanti chilometri in macchina per raggiungere le sedi delle partite. Lo si può fare una volta al mese, magari, ma i tempi di recupero non sono più gli stessi di quando si era giovani e il campo non mente, ti mette sempre di fronte alla verità: devi essere vigile, concentrato, atleticamente preparato. Quando fu cambiata la norma, a febbraio avevo già sperimentato che arbitrando solo in Eurolega le mie prestazioni erano migliori rispetto agli ultimi anni di carriera con il doppio impegno. E anche qui era il campo, le mie performance, le mie decisioni, il mio direttore arbitrale e i referee coaches a certificarlo, non io. Ho sempre detto, e tu sei testimone con le tue interviste, che ho un debito di gratitudine con la Federazione per quella regola... sbagliata».
 
Non sei mai stato un arbitro “sindacalista”, inteso come attivismo nell’AIAP. Hai sempre fatto la vita solitaria che di norma spetta ai “numeri uno”. E adesso che dovrai fungere da collante, come farai?
«Non è tutto vero quello che affermi. Io sono stato iscritto all’AIAP per molti anni, quando le richieste degli arbitri erano volte a tutelare l’intero gruppo arbitrale. Sono stato in prima linea nella “battaglia” per dare agli arbitri il diritto di votare il “nostro” Presidente del Comitato Italiano Arbitri, che ci rappresentasse in Consiglio Federale, piuttosto che ritrovarcelo “imposto” come accadeva prima. Minacciammo lo sciopero e, in una conferenza stampa indetta dall’ora Presidente AIAP Luciano Tola, durante una Final Eight di Coppa Italia, noi arbitri olimpici in attività (eravamo tre) ci mettemmo la faccia per dimostrare la nostra unità e quanto fosse importante e sentito per tutti noi il problema. Ottenemmo riconosciute le nostre richieste. Poi l’Associazione ha cambiato i suoi obiettivi e io non mi ci riconoscevo più. Diciamo che sono stato il primo a non iscriversi e poi altri hanno fatto lo stesso. Adesso, nel mio nuovo ruolo, ascolterò l’Associazione e con essa collaborerò perché é nel mio stesso interesse fare in modo che gli arbitri a tutti livelli si sentano ascoltati, seguiti, supportati, ma soprattutto rispettati nelle loro richieste e nel loro lavoro nel campo. Spero di essere un punto di riferimento per gli associati e per le loro richieste».
 
Arbitrerai ancora, magari in infrasettimanale, qualche partita di minors o giovanili per aiutare i giovani e tenerti in allenamento?
«I giovani arbitri spero di aiutarli in un altro modo, magari organizzando un miglior reclutamento, un sistema di tutoraggio ed altre idee che ho “rubato” da altre nazioni e organizzazioni. Anche per questo è stato utile arbitrare per tanti anni in giro per il mondo, è parte del mio bagaglio di esperienze che è giunto il momento che io metta a disposizione delle future generazioni».
 
Un tuo pensiero sulle polemiche legate agli arbitraggi nate nella finale Scudetto 2022?
«Nessuno. Solo cercare in futuro di evitarle, soprattutto quando sono fonte di un pregiudizio ancor prima dell’inizio delle partite».
 
Non ti chiedo il tuo “programma di governo”, ma posso sapere almeno le linee guida che seguirai nell’espletamento del tuo incarico?
«Puntare forte sul reclutamento e il mantenimento dei giovani arbitri. Cercare di coinvolgere maggiormente le società, magari con degli incentivi. Rivolgersi alla categoria dei giocatori professionisti e semiprofessionisti e spiegargli che si può continuare a vivere il campo in modo altrettanto gratificante, iniziando la carriera arbitrale. Certo, occorrerà modificare qualcosa sui nostri regolamenti e cancellare ogni tipo di limite legato all’età dei tesserati e alla loro permanenza nelle liste arbitrali, ma sono sicuro che si possa avere un grande impulso sia per quanto riguarda il numero di nuovi tesserati sia per la qualità in generale del servizio offerto al gioco, alle squadre e ai tifosi».
 
Grazie e in bocca al lupo, Mister Decidere! Ti ho conosciuto che arbitravi e ora hai smesso e cambiato lavoro. Un segnale inequivocabile anche per me che scrivo...
«Luca, non dire stupidaggini. Grazie mille volte per quello che fai perché lo fai con passione e onestà. E anche per te vale una regola “santa”, come per gli arbitri che hanno come loro giudice insindacabile il campo e la partita. La cosa che per te conterà sempre sono il numero dei tuoi lettori. E fino a quando ci saranno così tante persone che ti continuano a seguire, da tutte le parti d’Italia, non dovrai mai pensare di abbandonare quella tastiera a cui io sono molto legato, perché senza di essa e senza di te che ci smanettavi e continui a farlo tutt’ora, la mia carriera arbitrale sarebbe stata sicuramente diversa. Un caro abbraccio a te, a mamma Liliana e a papà Dino».

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Luca Maggitti
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