Nell’ora più buia, non so lasciarti solo.
Caro Andrea – o “Ulisse”, come ho soprannominato la tua profetica barba posta a base di occhi stralunati e vagabondi – da domenica scorsa non oso darmi pace. E nemmeno saprei come fare.
Perché quella bocca prima digrignata e poi contorta, a inghiottire l’urlo, mi è piombata dritta dentro gli occhi, mentre cadevi e io stavo facendo la telecronaca della vostra partita.
Sembravi la testa di Medusa sullo Scudo del Caravaggio: sguardo sgomento, bocca storta e serpenti ribelli in testa.
Poi Edoardo Tiberti ti ha preso in braccio, come la Madonna col Cristo. O come, più laicamente, fece Christian Di Giuliomaria con Mahmoud Abdul-Rauf, nella stagione 2004/2005.
E io... io è da quei cinque minuti mancanti alla sirena finale che non riesco a darmi pace.
Non ti ho telefonato, né scritto, perché mi sono messo in testa che è meglio non disturbarti.
E però oggi ho voluto squarciare il silenzio al cloroformio, che dura da quattro giorni, per scrivere questa lettera aperta e dirti che Roseto degli Abruzzi intera è vicina a te. E che, se non la senti nella sua maggioranza, è semplicemente per rispetto del tuo momento.
Ulisse, che sei scampato più volte ai Lestrigoni che volevano banchettare con te dentro e fuori le aree pitturate, io non so con quale strale il perfido diavolo del basket ti abbia stavolta trafitto.
Non so se e quale cicatrice si aggiungerà alla tua lista di medaglie fatte carne ricucita.
Non so se ci sarai nel prosieguo dei playoff, ma questo è un mistero che vale per la squadra e per noi tutti rosetani.
Facciamo i conti con albe e tramonti, senza poterli né accendere né spegnere. “Il destino mescola le carte e noi giochiamo”, come disse Schopenhauer.
Non so cosa abbia in serbo per te la prossima mano, ma voglio dirti che la Roseto degli Abruzzi cestistica è con te, sperando che tu possa ancora giocare per questa stagione con la maglia numero 29.
Questo volevo dirti.
Forza e coraggio, Andrea!