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Via Seneca [Il privè di ROSETO.com]
LO PSICANALISTA DELLE STAMPANTI


Un raccontino, ricordandomi ‘Writing Nights’.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 29 Novembre 2012 - Ore 23:45

«Che lavoro assurdo mi sono scelto...» pensò tra sé e sé Benito. Evitando accuratamente di parlare.
 
Poi prese un mezzo respiro professionale di circostanza, condito al veleno, e sussurrò: «E’ soltanto una parola, ne avevamo parlato, ricordi? Parlato a lungo ed eri d’accordo. Adesso vorresti per favore tenere fede alla tua promessa e provare a stampare?».
 
«E invece ci ho ripensato», sorrise Haccapì, stampante a getto d’inchiostro di fascia economica dotata di vaschetta della capienza massima di 50 fogli. «Ed è inutile che insisti, sai… tanto non mi convinci. Puoi spegnermi, puoi staccarmi la spina, puoi persino disattivarmi i driver, ma io credo che non lo farai. Perché tu vuoi convincermi a stampare con le buone, ma io non voglio stampare quel che tu vuoi sia stampato».
 
Benito era furioso, ma doveva sorridere. E, d’altronde, era il suo lavoro. Vendeva se stesso a botte di 45 minuti, riparando stampanti che non ne volevano sapere di funzionare. Ascoltava Haccapì, respirando piano e spargendo il suo respiro al sapore di sigaretta nella stanza. Una stanza bianca, disadorna, con dentro soltanto una sottile scrivania nera ed una sedia sulla quale era seduto. Sulla scrivania era invece adagiata Haccapì, giunta al 42° minuto della sua bisettimanale seduta di psicoterapia, senza grandi progressi rispetto all’ultima volta che Benito l’aveva portata nel suo studio. Ed erano ormai 3 mesi…
 
La matita correva sul blocco degli appunti, finché una pressione troppo forte delle dita di Benito fece saltare la punta. «Mi dispiace sai, Haccapì, ma stavolta credo che sia necessario chiamare il mio collega psichiatra. Lui è la persona giusta per riequilibrarti con quel cocktail di farmaci da versare nella cartuccia dell’inchiostro. Credo tu ne abbia bisogno, per mitigare un po’ il tuo umor nero».
 
«Sciocchezze – replicò calma Haccapì – se mi dessero medicine troverei il modo di deviare l’iniezione dalla cartuccia dell’inchiostro nero in quella dei colori, che le neutralizza. Non voglio una droga, voglio un motivo per stamparti quella parola».
 
«Ne abbiamo parlato per 10 sedute e mi sembravi convinta – sospirò Benito – abbiamo visto la cosa da ogni punto fosse per te interessante. Abbiamo fatto l’analisi storica e quella sociologica, ci siamo interrogati insieme sulle radici della tua paura e su quando tutto questo era cominciato. L’ultima volta mi sembravi convinta. Mi sono persino avvicinato dandoti un po’ di confidenza… e invece niente. Eppure mi sembrava che tu avessi rimosso il blocco».
 
«Cosa credi che io sia una di quelle che metti a posto con 5 sedute e poi inganni a vita con l’analisi? Cosa credevi che fossi come quella di cui mi hai parlato quando ti sei lasciato andare, che non voleva stampare a colori? Stampantine, mezze calzette senza personalità né carattere. Bastano 3 sedute e un po’ di gocce versate sul foglio e tutto passa. Al massimo mezz’oretta di ipnosi, spingendo a tempo ON e OFF, e tutto torna come prima. Ma con me non funziona così, caro il mio psicanalista. Io voglio guarire davvero».
 
«Eppure l’ultima volta sorridevi e non eri per niente sprezzante – provò a ricucire Benito – eri serena, non facevi rumori strani, ti accendevi subito e nessun foglio si è inceppato nonostante una stampa di 35 pagine. Avevi capito il tuo ruolo, mi pareva. E invece adesso no… è bastato anche solo riavvicinarsi a quella parola ed eccoti più bloccata e nervosa che mai. E’ più grave di quanto credessi, sai?».
 
«Benito, puoi dire quello che vuoi, ma non attacca. Non mi convinci. Io la parola “fascismo” non la stampo».
 
 
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Luca Maggitti
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