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L’INVIATO SPECIALE
La pagina de ‘La Città Quotidiano’ di domenica 20 gennaio 2013, con il racconto.

Ettore Mo, al quale il racconto è dedicato, ritratto in copertina del suo libro ‘Ma nemmeno malinconia’.

Un racconto, pubblicato domenica 20 gennaio 2013 su ‘La Città Quotidiano’.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 22 Gennaio 2013 - Ore 01:30

«Costantino, ti prego di credermi, dispiace più a me che a te. E ora scusami, ma il fronte di guerra mi aspetta».
 
Nel dire “fronte di guerra”, Cesare – il direttore – si annodò con cura al collo la sciarpa di seta, prima di indossare il cappotto che valeva due o tre stipendi di Costantino, giornalista precario che dopo 10 anni di accordi, più o meno ballerini, veniva sbattuto fuori da quella testata televisiva che lo aveva spremuto come un limone, pagandolo male e, per di più, ogni tre o quattro mesi.
 
Costantino era a terra: coetaneo di Cesare, aveva iniziato l’avventuroso mestiere di giornalista nei meandri della Capitale insieme a quello che da qualche minuto era diventato il suo carnefice. Eppure avevano battuto la strada insieme, nei primi anni pieni di entusiasmo passati a collaborare nella redazione della cronaca di un quotidiano locale. Cesare e Costantino. Gli “imperatori della notizia” li chiamavano i colleghi, per quel loro modo deciso di fiutare la notizia e schietto di supportarsi, aiutarsi, coprirsi facendo gioco di squadra.
 
Poi però Cesare s’era stufato della precarietà e s’era messo dietro a un politico rampante, arricchendo il suo indubbio talento con il doping della raccomandazione, che nel Belpaese serve per superare la fila. Caporedattore al giornale prima, poi la chiamata della TV nazionale con un contratto principesco e la direzione del telegiornale. Un sogno che si avverava per Cesare, il solito incubo per Costantino, che aveva continuato ad arrangiarsi sommando collaborazioni.
 
È il giornalismo di inizio terzo millennio per i giornalisti senza santi in paradiso, quello che rispecchia la polarizzazione della società. Via la classe media, largo a moltissimi poveri e pochissimi ricchi. Quindi, in campo giornalistico, largo a una moltitudine di precari senza garanzie, comandati da un pugno di colleghi sistemati, raramente grazie a meriti propri.
 
Costantino campava scrivendo di cronaca per un giornale, di sport per un sito internet e una free-press e facendo servizi televisivi di spettacolo per la TV nazionale, dove era stato chiamato dopo anni di fila, ritrovandosi Cesare come direttore: un poker di impegni che spesso lo mandava in confusione e che gli succhiava tutto il tempo vitale, a fronte di uno stipendio – tutto sommato – da operaio di fabbrica, ma senza tutele né garanzie. E ora che il suo grande amico di gioventù lo aveva licenziato, il poker dal quale attingere il suo stipendio sarebbe diventato un tris.
 
Costantino passò in redazione per ricevere l’ultimo incarico della sua collaborazione: un servizio sulla pop star bionda e brutta – resa bella dall’impazzimento della gente – che avrebbe fatto scalo con la sua corte al Gran Hotel. Costantino sapeva bene qual era il suo obiettivo finale: due minuti di girato con ragazzini impazziti, urla dei ritornelli dell’ultimo “hit”, qualche dichiarazione senza senso e poi ti saluto TV.
 
Gli sarebbe invece tanto piaciuto volare insieme a Cesare verso la guerra dell’Africa settentrionale, per fargli vedere che non aveva perso lo smalto e che anche lui poteva fare un reportage di guerra. E che magari lo avrebbe fatto anche meglio del suo direttore, andando in video, visto che Cesare confezionava pezzi senza il suo viso, adducendo motivi di sicurezza. Pazienza.
 
Costantino prese la telecamera (il taglio dei costi ha creato la figura mitica del giornalista-cameraman) e andò al Grand Hotel, iniziando a filmare il delirio giovanile che intasava l’ingresso principale. Il portiere dell’albergo gli diede la solita preziosa soffiata: la pop star sarebbe entrata dal retro, perché non aveva voglia del bagno di folla (grazie al quale era pop-star). Costantino fece il giro a piedi e si appostò dietro una macchina. Ormai le immagini del delirio le aveva fatte e del portiere si fidava: doveva soltanto aspettare.
 
Dopo una decina di minuti, arrivò un SUV con i vetri impenetrabili. Costantino capì che era il suo momento e armò la telecamera, come fosse un fucile di precisione. Un solo inserviente dell’hotel accorse, in modo tanto repentino quanto furtivo, ad aprire lo sportello posteriore del SUV. Costantino stava riprendendo tutto, immaginandosi persino un possibile ripensamento sul suo licenziamento da parte di Cesare, visto il colpaccio, quando l’immagine nel piccolo monitor della telecamera sobbalzò dall’emozione.
 
Costantino continuò a riprendere, mentre dialogava con se stesso sul tema “La vita è strana”. Dal SUV non era scesa la pop-star, ma Cesare, il suo direttore, con quella parlamentare tanto in vista e con il fisico da statista (della Seconda Repubblica). “Hai capito Cesare...” sorrise dentro Costantino. In un attimo tutto fu chiaro: la corrispondenza di guerra inviata senza volto, le immagini troppo spesso di repertorio, lo stress assente dal viso (abbronzatura da SPA, qualcuno malignava) al ritorno dalle scorribande sui fronti di guerra. Quel figlio di buona donna del suo ex amico se la spassava con la parlamentare, tappato in hotel tutto il fine settimana e poi, tornato in redazione, metteva al lavoro i suoi culi di pietra confezionando servizi con la sua voce e pontificando di geopolitica, letta su qualche sito specializzato.
 
Costantino finì di filmare, ripose la telecamera nella custodia e si avviò verso lo scooter. Ebbe qualche metro per pensare e decidere. Poi riportò il suo ultimo servizio in TV, con le immagini dei ragazzi ma senza pop-star, incassando la rampogna del caporedattore. Un tecnico fidato al banco di montaggio si prese solo le immagini “pop” che gli servivano dal nastro, ridando l’originale a Costantino, che lo portò a un grande settimanale d’inchiesta, chiedendo di firmare un pezzo di quelli che ogni giornalista sogna di realizzare: un vero scoop.
 
Dopo una settimana, Cesare – distrutto mediaticamente dal pezzo di Costantino (arricchito dalle immagini sul sito del settimanale) – fu rimosso dall’incarico di direttore e inviato (perché la politica, finché può, comunque un posto te lo trova e non ti molla) a dirigere una sede estera. Costantino fu invece ingaggiato – sempre per pochi soldi, sempre senza tutele – dal settimanale di inchiesta, che seppe valorizzarlo mandandolo sulle tracce del malcostume romano prodotto da affari, politica e vizi. Ovviamente, Costantino ha sempre troppo lavoro da fare...
 
Dedicato a Ettore Mo, inviato di guerra vero, con stima e ammirazione.
 
 
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Luca Maggitti
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